«Nel nostro itinerario verso la Pasqua, siamo giunti alla quarta domenica di Quaresima», così sottolineava Papa Benedetto XVI, ormai prossimo al suo importante viaggio apostolico in Messico e Cuba, nel discorso all’Angelus la scorsa domenica 18 marzo, subito evidenziando come la Quaresima sia «un cammino con Gesù attraverso il “deserto”, cioè un tempo in cui ascoltare maggiormente la voce di Dio e anche smascherare le tentazioni che parlano dentro di noi».
Il “deserto” è un luogo biblico di assoluta rilevanza (basti ricordare, a titolo esemplificativo, i quarant’anni dell’esodo del popolo d’Israele e i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto), cui nel 1976 l’allora giovanissimo don Rino Fisichella – oggi arcivescovo e, fra l’altro, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, nonché membro di Congregazioni e Pontifici Consigli vaticani, fra cui la Congregazione per la Dottrina della Fede – dedicò una tanto semplice quanto bella Lettera sulla teologia biblica del deserto, in cui sottolinea quale significato ultimo del “deserto” quello di «una dimensione importante e costitutiva della vita di ogni uomo, è qui che possiamo ritrovare noi stessi».
L'uomo post-moderno vive nel chiasso quotidiano, ma anela costantemente al silenzio e alla tranquillità. L'ambiente che ci circonda – casa, lavoro, scuola, amici, sport, hobby, gioco… – è costituito da realtà positive in sé, che tuttavia rischiano di trasformarsi spesso in un pretesto per declinare da se stessi, pensando più a loro che alla propria persona, ovvero concependo la persona medesima solo nel contesto delle proprie occupazioni.
In questa logica prende senso il “deserto” come «luogo privilegiato dell'incontro dell'uomo con Dio; è un luogo di silenzio e di riflessione». Il deserto è, innanzitutto, “incontro”, «che può avvenire solo mediante una chiamata di Dio», tuttavia – prosegue don Fisichella – «la chiamata vuole sempre una risposta libera e decisiva dell'uomo». È poi “silenzio”, ovvero «capacità di far tacere noi per far parlare finalmente Lui» ed è, da ultimo, “riflessione”, cioè «preghiera incessante, è il ritrovare, in questa solitudine, il giusto senso e il giusto valore delle cose che ci circondano, è trovare il vero senso della vita».
Ma sarebbe riduttivo trasformare il cammino nel “deserto” spirituale quaresimale – già di per sé ricco di senso – in un orizzonte di senso di carattere risolutivo e assoluto: come ci ricorda ancora Papa Benedetto XVI, c’è di più: «All’orizzonte di questo deserto si profila la Croce. Gesù sa che essa è il culmine della sua missione: in effetti, la Croce di Cristo è il vertice dell’amore, che ci dona la salvezza […] Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna […] Anche Gesù sarà innalzato sulla Croce, perché chiunque è in pericolo di morte a causa del peccato, rivolgendosi con fede a Lui, che è morto per noi, sia salvato».
In questa logica, dunque, incomincia a delinearsi all’orizzonte la grande prospettiva della Pasqua: partendo dall’evento della Passione e Risurrezione di Cristo, essa ci ricorda innanzitutto profonde verità su noi stessi e, prima fra tutte, la necessità di ritrovare il senso pieno della nostra vita – al di là del semplice vissuto quotidiano – per essere pienamente redenti dalle nostre bassezze e povertà.
Andrea Menegotto
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