03/02/12

Rubare al partito è lo stesso che concludere un affare da imprenditore?

A leggere la grande stampa italiana - e da qualche tempo in qua anche quella di centrodestra - si hanno sempre più conferme di quella antica tendenza ad avere un occhio di riguardo per i malandrini che stanno a sinistra e, quando non si può fare a meno di denunciarne le prodezze, allora va sempre trovato un bersaglio speculare dall'altra parte.
L'ultimo esempio è clamoroso: sulle prime pagine è finito il caso eclatante del senatore del Pd Lusi che ha fatto sparire diversi milioni di euro (pare 13) dalle casse della Margherita (senza che nessuno se ne accorgesse!), e a lui è stato immediatamente accostata la vicenda del senatore del Pdl Conti, che ha lucrato (legittimamente) 18 milioni sulla vendita di un immobile. Conti come Lusi, insomma, in base a un'equazione secondo cui rubare soldi al partito è uguale a concludere un affare da imprenditore, e per sillogismo portare a termine un affare sostanzioso è come commettere un reato. Senza contare che Lusi ha fatto sparire denaro pubblico e Conti ha semplicimente fatto una plusvalenza da immobiliarista con soldi privati.

Sui giornali, però, è stata fatta di tutta l'erba un fascio, ed è un'assoluta vergogna. Questo preambolo ci dà l'occasione per aprire una riflessione più ampia sul sistema di potere che fu del Pci e che non ha mai trovato soluzione di continuità, soprattutto nelle regioni rosse.
C'è voluto un intervento del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, per mettere il naso nelle stranezze burocratiche della Toscana, citando il caso dell’Ikea che a Vecchiano, in provincia di Pisa, dopo sei anni di tira e molla, lo scorso anno è stata costretta a rinunciare al suo progetto di insediamento, e con esso alla creazione di 350 posti di lavoro.

Questo mentre le Coop rosse aprono, in tutta la regione, con una rapidità impressionante, modello cinese. Ma anche Esselunga è stata respinta a Livorno con gli stessi metodi. Nulla di nuovo, comunque, sotto il sole.
Che il Pci, e i suoi eredi, abbiano sempre potuto contare su un sistema di finanziamenti e di affari non lo dicono le pochissime inchieste aperte, lo dice la storia. Che vale la pena ripercorrere.

Nella seconda metà degli anni Settanta, il trasferimento alla Regioni di poteri con forte contenuto economico fu utilizzato con prontezza dal Pci, che si attrezzò per trarne i vantaggi resi necessari dalle difficoltà economiche in cui versava il suo principale finanziatore: l´Unione Sovietica.
A quel tempo era possibile discriminare negli appalti le società cooperative da quelle ritenute capitalistiche. Era questo, dopo averlo creato, il clima politico nel quale agiva il Pci. Nelle regioni rosse funzionava una sorta di holding che, avendo come patrimonio il consenso popolare, era presente sia nelle assemblee elettive che nelle giunte regionali, provinciali e comunali, nonché nei Cda delle società partecipate. La Holding gestiva il potere economico che controllava presidiando queste particolari partecipazioni, con intrecci per cui un consigliere di un Comune era presidente di una partecipata di un altro Comune, e investiva con saggezza al fine di arricchire il proprio patrimonio: il consenso. Inoltre, l´organizzazione del Pci si distingueva per l´impiego dei contributi al partito.

Gli utili della Holding non venivano destinati alla creazione di patrimoni personali: il patrimonio in costante crescita rimaneva al partito, mentre ai numerosi funzionari veniva assicurato un congruo vitalizio. Semplificando: il partito era il proprietario del beni e impiegava gli utili della Holding per produrre consenso; ai funzionari e ai militanti si assicurava una vita serena a carico dello Stato sociale (cioè a carico di tutti i contribuenti).
L'amnistia dell'89, concessa improvvidamente dalla maggioranza di pentapartito che sarebbe stata di lì a poco travolta da Tangentopoli, cancellò il finanziamento illecito al Pci, che fu così l'unico partito protagonista del consociativismo della prima repubblica a restare in piedi dopo la tempesta giudiziaria.

Poi si susseguirono una serie di stranezze come il miliardo di lire portato da Gardini a Botteghe Oscure su cui nessuno indagò seriamente, e quell'oliato sistema di finanziamento è sempre rimasto impunito. Oggi c'è l'inchiesta della piccola procura di Monza che sta facendo luce su fatti che riguardano personaggi molto vicini ai vertici del Pd e che allungano la propria ombra proprio sulle regioni rosse. Aspettiamo serenamente gli sviluppi.
Di Paolo

2 commenti:

  1. il senatore Lusi ha annullato il detto che recita
    in casa dei ladri non si ruba.
    io aggiungo bravo
    e/a chi è rimasto con le pive nel sacco dico chi la fa l'aspetti VITTORIO

    RispondiElimina
  2. il senatore Lusi ha annullato il detto che recita
    in casa dei ladri non si ruba.
    io aggiungo bravo
    e/a chi è rimasto con le pive nel sacco dico chi la fa l'aspetti VITTORIO

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