Da gennaio 2011 lo Yemen è stato teatro di manifestazioni di protesta attivate dalla società civile a seguito dell’intenzione del Governo di promuovere modifiche costituzionali suscettibili di consentire al Presidente Ali Abdullah Saleh di rimanere in carica a tempo indeterminato. Sorpreso dal rapido dilagare delle proteste e dalla loro vasta scala, Saleh aveva provato, senza successo, a raffreddare la temperatura annunciando l’intenzione di non ricandidarsi limitando al 2013 la propria permanenza in carica - egli era Presidente della Repubblica araba dello Yemen del Nord dal 1978 - nonché di aprire negoziati con il Joint Meeting Parties, coalizione apartitica di opposizione in vista della formazione di un nuovo governo. Nonostante una repressione di crescente violenza con alti costi in perdite umane, le proteste hanno continuato a dilagare, alimentate dall’impossibilità di giungere ad un accordo a causa della permanenza in carica del Presidente.
L’imposizione dello stato di emergenza, a marzo, dopo lo scioglimento dell’esecutivo ha comportato una severa stretta censoria sui media ed un ampliamento dei poteri delle forze di sicurezza in materia di arresti, detenzione e divieto di proteste. Falliti i tentativi di mediazione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, la cui proposta di accordo veniva rifiutata dal Saleh, la crisi si è andata ulteriormente aggravando anche per la concorrenza dell’elemento tribale durata sino al temporaneo cessate il fuoco intra-tribale dichiarato a fine maggio.
Dopo l’assunzione del potere, a giugno, da parte del vicepresidente Abd Rabbu Mansour Hadi, successivamente all’attacco al palazzo presidenziale ed al ferimento di Saleh, evacuato in Arabia Saudita, il quadro dello Yemen, dove la neo costituita alleanza di opposizione non dava segni di tenuta, si andava deteriorando facendo temere la guerra civile. Il rapporto pubblicato il 13 settembre 2011 del gruppo di inchiesta inviato su mandato del Consiglio dei diritti umani dall’Alto Commissario dell'ONU (28 giugno- 6 luglio) ha evidenziato gravi e diffusi abusi in materia di diritti umani e un uso eccessivo della forza, atti per i quali ha sollecitato un’indagine internazionale mirante a individuarne i responsabili.
Con la Risoluzione 2014 adottata all’unanimità il 21 ottobre 2011 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto la fine delle violenze e l’accettazione del piano per la pace predisposto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo che contempla le dimissioni del Presidente Saleh il quale, per parte sua, ritornato a Sana’a il 23 settembre, si dimetteva il 23 novembre 2011 consentendo finalmente il passaggio dei poteri al vice presidente Hadi e rendendo possibile l’implementazione dell’accordo CCG.
L’accordo prevede la formazione di un Governo di riconciliazione nazionale dove il partito al potere e le opposizioni sono egualmente rappresentati nonché la celebrazione di elezioni presidenziali (che dovrebbero tenersi il 21 febbraio 2012). Nel Report di Amnesty International si legge che, quale controparte, Saleh e il suo inner circle hanno ottenuto l’immunità penale per i crimini commessi durante le proteste del 2011 e lungo tutto l’arco delle pluridecennale presidenza. Sebbene proprio il rifiuto di lasciare un incarico tenuto per un lungo periodo, costellato da indebolimento dello stato di diritto e violazioni dei diritti umani, abbia agevolato la costituzione di un ampio fronte contro Saleh, partecipato sia dalle forze del nord dello Yemen (Huthi) sia dal Movimento del sud, il perdurare dei conflitti tribali sta mettendo in difficoltà l’esecutivo yemenita nel controllo di alcune aree del paese, dove è altresì segnalata la penetrazione di militanti islamici ritenuti legati ad al Qaeda.
Tutto ciò concorre ad aggravare ulteriormente il quadro delle condizioni di vita della popolazione yemenita, la più povera della regione, esposta nel corso del 2011 a violenza e ad una crisi umanitaria pesantissima derivante dal rifiuto di Saleh a passare la mano. “This was due – si legge nel rapporto - in no small part to the failure of his principal allies and benefactors, the governments of Saudi Arabia and the USA, to insist earlier that he stand down and make way for a new, more democratic Yemen based on respect for human rights and the rule of law”.
Maria Leone
L’imposizione dello stato di emergenza, a marzo, dopo lo scioglimento dell’esecutivo ha comportato una severa stretta censoria sui media ed un ampliamento dei poteri delle forze di sicurezza in materia di arresti, detenzione e divieto di proteste. Falliti i tentativi di mediazione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, la cui proposta di accordo veniva rifiutata dal Saleh, la crisi si è andata ulteriormente aggravando anche per la concorrenza dell’elemento tribale durata sino al temporaneo cessate il fuoco intra-tribale dichiarato a fine maggio.
Dopo l’assunzione del potere, a giugno, da parte del vicepresidente Abd Rabbu Mansour Hadi, successivamente all’attacco al palazzo presidenziale ed al ferimento di Saleh, evacuato in Arabia Saudita, il quadro dello Yemen, dove la neo costituita alleanza di opposizione non dava segni di tenuta, si andava deteriorando facendo temere la guerra civile. Il rapporto pubblicato il 13 settembre 2011 del gruppo di inchiesta inviato su mandato del Consiglio dei diritti umani dall’Alto Commissario dell'ONU (28 giugno- 6 luglio) ha evidenziato gravi e diffusi abusi in materia di diritti umani e un uso eccessivo della forza, atti per i quali ha sollecitato un’indagine internazionale mirante a individuarne i responsabili.
Con la Risoluzione 2014 adottata all’unanimità il 21 ottobre 2011 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto la fine delle violenze e l’accettazione del piano per la pace predisposto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo che contempla le dimissioni del Presidente Saleh il quale, per parte sua, ritornato a Sana’a il 23 settembre, si dimetteva il 23 novembre 2011 consentendo finalmente il passaggio dei poteri al vice presidente Hadi e rendendo possibile l’implementazione dell’accordo CCG.
L’accordo prevede la formazione di un Governo di riconciliazione nazionale dove il partito al potere e le opposizioni sono egualmente rappresentati nonché la celebrazione di elezioni presidenziali (che dovrebbero tenersi il 21 febbraio 2012). Nel Report di Amnesty International si legge che, quale controparte, Saleh e il suo inner circle hanno ottenuto l’immunità penale per i crimini commessi durante le proteste del 2011 e lungo tutto l’arco delle pluridecennale presidenza. Sebbene proprio il rifiuto di lasciare un incarico tenuto per un lungo periodo, costellato da indebolimento dello stato di diritto e violazioni dei diritti umani, abbia agevolato la costituzione di un ampio fronte contro Saleh, partecipato sia dalle forze del nord dello Yemen (Huthi) sia dal Movimento del sud, il perdurare dei conflitti tribali sta mettendo in difficoltà l’esecutivo yemenita nel controllo di alcune aree del paese, dove è altresì segnalata la penetrazione di militanti islamici ritenuti legati ad al Qaeda.
Tutto ciò concorre ad aggravare ulteriormente il quadro delle condizioni di vita della popolazione yemenita, la più povera della regione, esposta nel corso del 2011 a violenza e ad una crisi umanitaria pesantissima derivante dal rifiuto di Saleh a passare la mano. “This was due – si legge nel rapporto - in no small part to the failure of his principal allies and benefactors, the governments of Saudi Arabia and the USA, to insist earlier that he stand down and make way for a new, more democratic Yemen based on respect for human rights and the rule of law”.
Maria Leone
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